Si crede Picasso by Francesco Bonami

Si crede Picasso by Francesco Bonami

autore:Francesco Bonami [Bonami, Francesco]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mondadori
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


XXVI

Hopper-là

Edward Hopper

Se John Fitzgerald Kennedy resuscitasse oggi, in mancanza di una Berlino da rivendicare come sua esclamerebbe «Ich bin ein Hopperian!,» io sono un Hopperiano!, ovvero un appassionato di Edward Hopper.

Tutti oggi ci sentiamo Hopperiani. Ma perché tutta questa passione per un pittore che appartiene a quella maggioranza di americani che credono fermamente nella «democrazia dei cazzi propri», che non votano e dicono «fate quello che volete a patto che non mi veniate a calpestare il mio lawn, il mio praticello davanti a casa, francobollo sacro e confine invalicabile della privacy e della libertà»? Amiamo Hopper perché rappresenta l’archetipo del pittore moderno, solo davanti alla realtà, isolato individuo che osserva il mondo più come un cane che come un uomo. I suoi quadri hanno il punto di vista di un cane, racchiudono l’enigma di questo animale che ci osserva senza capire le relazioni che ci sono fra di noi. Gli uomini e le donne nei quadri di Hopper non sanno di essere guardati, nelle loro stanze credono di essere soli, non si accorgono che lì accucciato li guarda il loro cagnolino invisibile.

Questo artista è il miglior rappresentante della cultura del loner, il solitario, disinteressato a tutto se non al suo piccolo universo fatto di piccolissimi riti, dal pastrami sandwich al bicchierino di rye prima di cena, una specie di whisky scadentissimo. Il solitario è la cellula che è alla base di tutta la società americana, fatta di incurabili sedentari che vivono di cibo take out o di eterni nomadi senza legami che cambiano residenza ogni anno. Nessun amico, solo formali relazioni con il vicino di prato che soltanto a cose fatte viene a sapere che nel giardino sul retro il taciturno vicino seppelliva i cadaveri delle sue vittime: «Sembrava così calmo, tutti i giorni col suo cavalletto a dipingere vicino alla siepe…». Hopper non era certamente violento, ma dipingeva quello stato d’animo dell’americano che quando gli gira storto può fare parecchi danni, anche al vicino di casa. Magari non gli calpesta il prato ma lo fa secco con un fucile automatico, mentre l’altro, ignaro di averlo snervato, sta innaffiando.

E noi europeei, francesi e italiani in particolare, siamo affascinati da questa America hopperiana dove esiste la grande capacità di trasformare in mito la sfiga, in grande film o romanzo la monotona vita del loser, il perdente. Edward Hopper ci affascina con la sua pittura secca e scarna, nemmeno tanto eccellente, perché esprime la basilare freschezza di quel sogno americano che è in tutti noi, il sogno di una libertà scettica, sintetica e quotidiana divorata oggi dal narcisismo del reality show o dalla vomitevole quotidianità analfabeta del «Grande fratello».

Hopper è un maestro Manzi (quello in bianco e nero di «Non è mai troppo tardi» della Rai degli anni ’60) che con segni semplici e pochi colori ci insegna a leggere lo scorrere inevitabile del giorno, celebrandolo. Ma questo pittore è anche un Salvador Dalí che ha deciso di lasciare la surreale dimora di Cadaqués per comprarsi una casetta a Long Island, dove



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